UN NUOVO PENSIERO DALLA QUARANTENA CHE PARLA DI PASQUA, SPERANZA E PACE.
Eccomi a scrivere un nuovo pensiero dalla quarantena, un pensiero che parla di pace.
Se nel primo ho raccontato del mio primo impatto con il Coronavirus e nel secondo ho scritto della mia sensibilità verso chi lavora nei supermercati in questi giorni, con questo altro testo, provo a mettere insieme un po’ di pensieri sparsi che mi sono usciti dalla penna pensando alla festività della Pasqua.
Una festività che associo sempre più alla parola PACE e che mai come quest’anno mi ha dato spunto per fare riflessioni sul mio rapporto con la fede e con la speranza, sempre partendo dai fatti legati alla Pandemia che stanno rivoluzionando il nostro vivere.
Buona lettura…
UN SEGNO DI PACE
“Mia figlia aveva prenotato per una festa stasera, ma è stata annullata e ora non si sa nemmeno se le rimborsano il biglietto”.
Parlavano così, due signore, mentre pagavano i loro acquisti alla cassa di un negozio in centro, sabato 22 febbraio, a poche ore dal primo impatto devastante del Coronavirus in Italia.
Io e mia moglie, in coda dietro di loro, ci siamo guardati e senza dirci nulla ci siamo chiesti con gli occhi.. “tu ci andresti ad una festa stasera?” .
Io la risposta già l’avevo data la sera prima, la sera del 21 febbraio, la sera del primo caso di Codogno. Per quella sera ero riuscito ad avere il biglietto per una registrazione di un concerto a Milano, il concerto di uno dei miei artisti preferiti, eppure, non ci sono andato.
Il mio sesto senso aveva vinto.
Avevo disdetto la mattina di quel venerdì, prima ancora di sapere la notizia, prima ancora di quel giro al supermercato che già vi ho raccontato.
A maggior ragione, quel sabato, ero convinto che avevo preso la decisione più saggia.
Chissà in quanti sarebbero arrivati dal lodigiano, chissà in quanti… pensieri infondati, che infatti non hanno trovato riscontro. Pensieri pur sempre più forti di me, sempre guidati dalla mia ipocondria.
La prima vera risposta e il primo vero shock del Corona, comunque, si è manifestato proprio quel sabato sera.
A Messa.
Nella mia vita sono stato un buon credente a fasi alterne, un po’ per pigrizia, un po’ per ribellione, un po’ per opportunismo e un po’ per chissà quale stupido motivo.
Religiosamente parlando non sono certo stato l’orgoglio delle mie nonne, ma, da un anno a questa parte, ho trovato nuovi stimoli, nuove forze che mi han spinto per lo meno a frequentare settimanalmente la Messa.
Questa abitudine non mi renderà un Santo, ma è un rito che mi fa bene, un momento che mi fa sentire a mio agio e che mi mette davanti alle cose giuste e belle della mia vita. Un momento che mi apre gli occhi anche verso gli altri e che mi fa sentire in pace con me stesso.
Una sola ora alla settimana. Poco, ma in verità tanto per me.
Quel sabato, entrati in Chiesa dopo lo shopping pomeridiano, prima della celebrazione, il parroco ha spiegato che per ragioni di “sicurezza” non avremmo potuto scambiarci il gesto di Pace tradizionale. Lo avremmo fatto facendoci un piccolo inchino con la testa.
Che ironia, ho pensato, ci saluteremo come i cinesi. Le vie del caso e delle coincidenze sono infinite.
Ho anche pensato che arrivare a tanto, poche ore dopo i primi casi di contagi, significava che eravamo davanti a una cosa tremendamente seria. Il tempo e la storia lo hanno dimostrato.
Chiudere le Chiese e celebrare le Messe in streaming, fino ad arrivare alle immagini potenti del Papa che cammina da solo in piazza San Pietro sotto la pioggia.
Immagini che vedremo nei libri di storia.
Quella storia di cui io mi sento di far parte.
Sento che la sto vivendo, che tutti noi la stiamo vivendo.
Ecco perché siamo importanti,
Perché avremo il compito di raccontarla.
Raccontare di una Pasqua vissuta senza le nostre famiglie, senza le tradizionali feste o senza le consuete gite al mare.
Raccontare degli arcobaleni disegnati sui balconi, delle mani tese verso chi è “distante ma unito”, delle video chiamate impossibili e stonate con i nonni e della voglia matta che ci accomuna tutti, di tornare alla nostra vita normale.
Quella voglia che ci rende tutti uguali.
Tutti, uniti in un unico segno di pace.
Con la speranza di non dimenticarci che in questi mesi così difficili ci siam voluti davvero tutti bene.
Con la speranza che l’insegnamento della Pasqua rimanga impresso nel nostro futuro prossimo.
In pace.