PENSIERI SPARSI E INOFFENSIVI DALLA QUARANTENA
Ecco un altro dei miei pensieri che ho scritto durante questi giorni di quarantena.
Come per l’altra mia riflessione, si tratta di una considerazione che riguarda la vita prima del Coronavirus, e la vita che ci aspetta, sicuramente diversa, quando questi giorni forzati, ma necessari, di quarantena saranno finiti.
Una riflessione basata sul ricordo, sulle emozioni e su un dato di fatto su cui, mi piacerebbe, che tutti prendano coscienza.
Buona lettura.
SILVIA
Quattro cose.
Il pane, le ricariche del rasoio per fare la barba, un brick di vino bianco per sfumare le bistecche e un litro di latte per fare il budino che mi piace tanto la domenica mentre guardo le partite.
Solo queste quattro cose che più che altro sono il pretesto per andare a trovare i miei ex colleghi al supermercato.
Mi piace andarci una volta ogni due o tre mesi.
Nonostante siano ormai quasi diciotto quelli da cui non lavoro più con loro, sento forte ancora la mancanza del rapporto quotidiano che avevo con molti.
In quel posto ho lasciato alcuni degli affetti più veri della mia vita.
Così, con la scusa di dover comprare queste quattro cose, quella mattina sono andato a fare la spesa e a riempirmi di baci e di abbracci con i vecchi amici, colleghi.
Quella mattina, dicevo,
quella mattina in cui prima di tornare a casa, con la mia piccola ed esigua spesa sottobraccio ho incontrato
Silvia
A differenza di alcuni altri ex colleghi che ho salutato durante il giro tra le corsie, con Silvia non siamo stati mai propriamente amici, anche se in passato le nostre vite si sono toccate e sfiorate per via di quelle trame che solo il destino sa scrivere.
Ci siamo trovati spesso a confrontarci su cose che abbiamo capito anche senza mai dirle, io che capivo le sue, lei che capiva le mie. Davvero, senza neanche mai raccontarcele.
Silvia è di una bellezza disarmante, di quelle che probabilmente anche se nascosta in mezzo ad altre mille persone gli occhi la cercano, eppure, questa sua caratteristica passa sempre in secondo piano oscurata dalla bellezza del suo essere una brava persona.
Se è vero che la bellezza è un dono della natura, è altrettanto vero che l’essere una bella persona si costruisce, e allora diventa un merito.
L’ho salutata più che contento, l’ho abbracciata.
Forse era più di anno che non ci si incrociava, e quando la incontri, senti una sensazione di buono e pulito che viene verso di te.
Quel giorno, poi, nel pomeriggio, mentre stavo bevendo un caffè al bar, aprendo Facebook, mi è apparso quel nome che subito si è radicato in tutte le nostre vite.
Codogno.
Era il 21 Febbraio 2020.
Da li a poche ore, avremmo tutti iniziato a masticare parole come zona rossa, contagio, quarantena volontaria, DPCM, autocertificazione, bollettino delle 18:00, Borrelli e Brusaferro, allontanamento sociale.
L’ allontanamento sociale, oggi, a distanza di 50 giorni, pur essendo un grosso sacrificio, sembra uno stile di vita radicato, necessario, ma il percorso per arrivare a non stringersi più la mano quando ci si incontra, a stare distanti e a non andare a trovare i propri cari è stato un duro colpo per le nostre vite.
Uno spartiacque.
Quel 21 Febbraio si è fermata la vita per come la conoscevamo, e il saluto con Silvia, l’abbraccio amichevole a cui tante volte non ci si fa neanche caso, è stato, a mia memoria, l’ultimo che ho dato.
Sono uno a cui piace cercare le coincidenze, e sono molto contento che sia lei l’ultima persona che ho abbracciato.
Lei è la donna che ha dato il via al mio percorso da scrittore. Senza saperlo.
Osservando il suo modo di affrontare gli sgambetti della vita, e il suo modo di usare quegli sgambetti per diventare più grande e più forte, anni fa ho preso spunto per una poesia che poi vincendo un concorso ha innescato il meccanismo che si è messo moto per portarmi fin qui.
In quell’ultimo abbraccio della mia vita prima del Coronavirus ci vedo un cerchio che si chiude.
La vita prima,
quella vita in cui quattro semplici cose nel carrello ti permettevano di andare a salutare i vecchi amici.
Quegli amici che sono da un mese sul campo di battaglia, esposti al rischio e sopratutto ai limiti dell’educazione della gente.
Quegli amici che non me la sento di chiamare eroi, perché forse è davvero esagerato, ma che mi piace chiamare TESTIMONI.
Testimoni del passaggio tra la vita prima del Covid-19 e la vita dopo.
Testimoni oculari di tutto quello che io, stando comodo al sicuro nella mia casa in quarantena, non posso vedere e non posso conoscere.
Per cui senza fare retorica, perché lo ammetto che sono contento di essermela scampata,
sempre per via di quelle trame del destino curiose, mi piacerebbe che se ne parli un po’ di più, che ci sia una maggiore presa di coscienza del servizio che svolgono e che ci sia maggior rispetto verso quegli addetti che incontrate quando andate a fare la vostra sacrosanta spesa.